venerdì 18 settembre 2009

Recensione: Deadly Friend di Wes Craven (USA 1986)

Titolo originale: Deadly friend
Titolo italiano: Dovevi essere morta
Regia: Wes Craven
Anno: 1986
Nazionalità: USA
Sceneggiatura: Bruce Joel Rubin da un romanzo di Diana Henstell
Interpreti principali: Matthew Laborteaux, Kristy Swanson, Michael Sharrett, Anne Twomey, Anne Ramsey, Richard Marcus



Trama: Paul, brillante studente di medicina e dal futuro roseo, si trasferisce in città per ragioni di lavoro insieme a sua madre e ad un altro singolare componente della famiglia: un tenero robot di nome BB, costruito con amorevole dedizione dal giovane genietto della casa. La sola presenza dell'automa è uno dei motivi principali per conoscere il nuovo arrivato, così il ragazzo riesce subito a farsi due nuovi amici tra cui la bella Samantha. La perfezione non appartiene a questo mondo e ben presto pumblei nuvoloni faranno la loro comparsa nel paradisiaco cielo di Paul.
Citazione: "E' mio padre. Anche se a volte vorrei vedere la sua faccia schiacciata da un camion, rimane sempre mio padre."
Considerata una delle opere minori di Wes Craven, la cui nomea gira sempre intorno a quei 3-4 titoli che conoscono tutti, Deadly Friend è una sentimentale rivisitazione del mito di Frankenstein che risentì anche del benefico influsso dell'allora recente successo di Reanimator del bravo Gordon.
La frase di lancio apposta sulla locandina "non tutti gli incubi avvengono in Elm Street" non lasciava dubbi su quale nome potesse celarsi dietro la pellicola: ma naturalmente il creatore dell'indimenticabile icona horror Freddy Kruger, babau che per buona metà degli anni 80 era solito squarciare con la sua mano artigliata i sogni di innocenti scolaretti.
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Fortunatamente l'intenzione di rendersi una garanzia agli occhi del pubblico non si limita a qualche frase di richiamo da copertina, perchè la regia si rivela inconfondibile in più di una sequenza dove aleggia incontrastato il fantasma di Nightmare. In questa prospettiva la ricorrenza di alcuni elementi diventa una vera e propria firma autoriale: basti citare la caldaia posta nella cantina, accesso velato ad una dimensione infernale, o il letto che diventa nuovamente linea di confine tra sogno e incubo, posto ideale per togliere definitivamente la luce del giorno dopo a giovani vittime fiduciose nel domani.
La differenza sta nel fatto che qui non troviamo mostri che agiscono per vie oniriche: il pericolo è ben più reale ed è rappresentato dal lato oscuro del mondo adulto che emerge inevitabilmente quando non è stata raggiunta una piena realizzazione nella vita. Gli schieramenti dei personaggi sono facilmente individuabili e il tipo di battaglia che si terrà è già stato stabilito: la fazione adolescenziale difenderà a denti stretti e cercherà con affanno di ricostruire il magico e indispensabile puzzle della propria gioventù mentre i disillusi uomini maturi, spinti da gelosia, tentano in ogni modo di tarpare le ali di questi angeli.
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Gli adulti si presentano quindi come crudeli "violentatori" della felicità dei ragazzi, un'insidia continua che priva il protagonista di tutte le persone a lui più care e motivo dello sviluppo di un'ossessione morbosa verso queste mancanze. Questo tormento continuo porta alla luce, involontariamente, una macchina di vendetta, decisa ad eliminare chiunque abbia messo i bastoni tra le ruote e abbia portato a termine precocemente il favoloso periodo della post-infanzia. In questa rivincita non vi sono armi che conducono ad esiti scontati: bensì sono gli stessi, innocui, giochi a diventare strumenti di morte.
La sceneggiatura lascia intravedere molti spunti autobiografici sia quando narra con disarmante sincerità della prima cotta nei confronti della ragazza della porta accanto, sia quando descrive con severità l'atteggiamento antipatico di alcune personalità del vicinato.
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Il miglior pregio delle pellicole provenienti dagli anni '80 è probabilmente il fatto che i sentimenti vengano sempre messi in primo piano, anche quando si cerca di alleggerire alcuni temi importanti (la perdita di una persona e il trauma derivante dallo spiacevole evento) come in questo caso. Può darsi che sia un fattore soggettivo ma l'immedesimazione dello spettatore è quasi immediata fin dal primo momento in cui compaiono i protagonisti, che appaiono subito familiari, e in questo processo aiuta anche la simpatica figura del robot, considerata alla pari di un essere umano.
Deadly Friend crea un insolito contrasto tra un contesto spensierato che rievoca "happy days", inteso come tempi felici, e l'inserimento in questo scenario di dirette sequenze splatter, ma entrambi i contenuti sono bilanciati con discrete competenze. Bello il finale in cui comunque l'attaccamento patologico alle perdite rivela le sue spiacevoli conseguenze.
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Giudizio finale: 7

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